La donazione

La presidente, prof.ssa Teresa Floridia

La fondazione dell’Ente Liceo Convitto risale agli anni 1872-1875. Nel 1878, l’Ente acquisì la proprietà del convento dei Frati Minori Osservanti Riformati e della Chiesa di San Calogero e Sant’Anna; i lavori di ristrutturazione furono affidati all’ingegnere Salvatore Toscano, allora ingegnere comunale.

All’interno della Chiesa si trovava il Crocifisso ligneo del XVII sec. di pregiato valore. Da alcuni anni, il direttivo dell’Ente ha cercato di restaurare il Crocifisso tramite campagne di raccolta fondi sui social, articoli e richieste di sponsorizzazioni alla comunità politica, economica e sociale, ma tutte queste azioni sono state sterili.

A tal proposito, è necessario ringraziare l’amico ed appassionato cultore del Crocifisso, Salvatore Brancati, che ha sempre creduto nel recupero ed ha cercato invano di trovare i fondi per il restauro.

Oggi, pertanto, se abbiamo la possibilità di vedere il Crocifisso restaurato, è dovuto all’amore per l’arte e per la bellezza di una semplice cittadina.

Il restauro del Crocifisso di S.Anna, è stato infatti possibile grazie alla donazione dell’insegnante Laura Casiraro, amante dell’arte e sensibile educatrice, che dopo averlo visto ne è rimasta profondamente colpita per l’espressione del viso, “un travaglio di dolore, di sofferenza da scalare insieme nel percorso delle proprie esistenze”.

L’insegnante Laura Casiraro, originaria di Modica è venuta a mancare nel 2020 ma ha lasciato ai suoi familiari il compito di esaudire il suo desiderio, di finanziare il restauro e la musealizzazione di quest’opera d’arte.

In qualità di presidente e a nome del direttivo che presiedo, ti ringraziamo Laura perché dopo immense speranze ed illusioni, tu hai realizzato un miracolo, tu hai realizzato un sogno, tu regalerai alla città di Modica un bene di immenso valore artistico e spirituale.

Il tuo gesto conferma il sottile legame tra la vita e la morte e conferma altresì che in un tempo che necessita di miracoli, ciascuno di noi può cercare di realizzarli, anche dall’alto.

Ogni giorno possiamo con un gesto migliorare il mondo che ci circonda.

Grazie Laura.

Il Crocifisso della chiesa di Sant’Anna di Modica.

Prof. Paolo Nifosì

Nell’inventario del 18.9.1870 riguardante la consegna da parte dell’Amministrazione per il Fondo per il Culto all’Amministrazione comunale di Modica, a seguito dell’articolo 20 della legge 7 Luglio 1866, del fabbricato dell’ex Convento di Sant’Anna di Modica e della annessa chiesa (Modica Archivio dell’Ente Liceo Convitto, vol. n. 8, Miscellanea, fac n. 7) si legge tra le altre opere consegnate “statua di legno, Crocifisso del Milleseicentotrentotto”.

É l’unica opera che è segnalata con la data, e nell’ordine viene inventariata al secondo posto dopo la custodia dell’Altare maggiore. Evidentemente gli estensori dell’inventario hanno ritenuto importante e di particolare menzione l’opera su accennata. Possiamo ipotizzare che la data potesse trovarsi da qualche parte nel Crocifisso o nella parte intorno al Crocifisso, o che fosse noto agli estensori dell’inventario un documento attestante quella data.

Un altro aspetto da tenere in considerazione in merito al Crocifisso è quello che riguarda la fondazione del Convento dei Minori Osservanti Riformati che avviene il 2 luglio del 1639, un anno dopo alla data su indicata, (Giancarlo Poidomani, Il convento di Sant’Anna dei Minori Osservanti Riformati, sta in ArchivumHistoricummothycense, vol. n. 5, anno 1999, p.12). É probabile che una struttura conventuale in quel luogo esistesse anche prima.

Franco Libero Belgiorno, infatti, riferisce nel volume “Modica e le sue chiese” della esistenza di un convento “edificato nel 1613 e abitato dai Riformati e di una chiesa dedicata a Sant’Anna e a San Calogero (F. L. Belgiorno, Modica e le sue chiese, Modica, 1958, p. 55), mentre il Poidomani riferisce che nel 1650: “La chiesa era sotto titolo et invocazione della gloriosa Sant’Anna (la) quale con un’altra, che prima era dedicata a San Calogero, si è accomodata per adesso un po’ piccola se ben commoda perché vi possimo officiare i frati, sin che con la Grazia di Dio sifabbricarà la nuova ( G.Poidomani, cit. p. 13).

Pertanto il Crocifisso precede l’arrivo dei Minori Osservanti in quel luogo, a significare che la committenza del Crocifisso non va ascritta ai Minori Osservanti ma a chi gestiva la chiesa di Sant’Anna prima del loro arrivo o a qualche facoltoso devoto che, contestualmente ad un beneficio da destinare ad una cappella dedicata al Crocifisso, commissionò ad uno scultore il Crocifisso suddetto.

Del Crocifisso sappiamo l’anno ma non sappiamo l’autore. Così come restano anonimi anche gli altri Crocifissi dell’area iblea del Seicento e del Cinquecento. Purtroppo la storiografia sia del Seicento che dei secoli successivi, per quanto ne abbiano individuato il pregio, non hanno fornito altri elementi utili anche per individuare l’autore.

Come preminenti caratteristiche dei Crocifissi del Seicento sono l’accentuazione drammatica del corpo del Cristo grondante sangue dal costato, dalle ferite varie, dalle notevoli ferite delle ginocchia, o dalle giunture tra l’omero e la spalla e da quelle dipendenti dalle corone di spine.

Nello specifico il Crocifisso di Sant’Anna, dal momento che non ha subito restauri presenta le caratteristiche della prima metà del Seicento per quanto il colore del sangue risulta molto sbiadito e con la mancanza anche di materia che pur doveva essere presente nella resa del sangue che colava dal costato, dalla testa e dalle altre ferite, così come sbiadite risultano le tumefazioni del corpo martoriato.

Le condizioni attuali mettono in luce l’asciuttezza del torace e la netta individuazione delle costole. Rimane espressivamente efficace l’intensità del volto dato dalle labbra aperte, e dagli occhi socchiusi.

Non entro nel merito attributivo, discusso da vari studiosi e in particolare da Salvatore Brancati. Mi interessa sottolinearne il valore estetico e devozionale.

Dall’Astrazione delle croci gemmate ai crocifissi lignei della scuola Francescana di Frate Umile

Prof.ssa Eugenia Calvaruso

Dai primissimi tempi della vita della Chiesa e dalla primitiva resistenza alle immagini (divieto biblico anti-idolatria Esodo 20,4),  l’evoluzione della raffigurazione del Crocifisso* passa, dalle croci dipinte medievali del Cristo con gli occhi aperti (Christus triumphans), del Cristo dolente (Christus patiens), del Cristo umanizzato  con le novità giottesche, verso esperienze rinascimentali che rivolgono maggiore  attenzione ad uno studio anatomico naturalistico con armonia di  proporzioni, il Cristo uomo, ideale perfetto di un umanesimo cristiano. Nel Manierismo e nel Barocco si passa alle linee sinuose, teatrali e dinamiche che riproporranno il Christus patiens medievale per esaltare l’eroismo del Dio uomo che attraversa il dolore del martirio per la salvezza degli uomini.

Dopo la Riforma protestante, il Concilio di Trento favorirà il rilancio dell’arte cattolica in funzione propagandistica, catechistica e morale. Nascono i grandi altari che sembrano costruiti su piani ascendenti, come dei monti Calvario, con i Crocifissi al centro o al vertice. Il potere divulgativo e persuasivo dell’immagine per l’arte ecclesiastica postridentina aveva il compito di difendere i principi della Chiesa, costruendo la rappresentazione di dogmi teologici e verità storiche inconfutabili.

Determinante è l’opera dei Francescani, tanto devoti all’immagine del Crocifisso, che ne furono tra i maggiori diffusori. A proposito della Controriforma, infatti, M. C. Di Natale nota che essa riconosce “il valore didascalico e coinvolgente delle immagini e si assume pertanto il compito morale di dettare precise tematiche e specifiche iconografie agli artisti. Anche se non viene fornita una dettagliata indicazione per la figura del Crocifisso, sarà proprio quello diffuso dai Francescani che si potrà per diversi aspetti considerare come modello iconografico voluto dalla Controriforma”.¹

Se nel XV secolo croci dipinte culminavano ancora sull’iconostasi o pendevano dall’arco di trionfo delle chiese siciliane, dalla seconda metà del XVI secolo ogni chiesa ha il suo altare con Crocifisso, per lo più ligneo, come voleva peraltro la disposizione di Leone X, Papa dal 1513.² In Sicilia sarà il Cristo realizzato da Frate Umile a divenire il prototipo cui faranno riferimento tutte le Chiese francescane.

Diversi intagliatori francescani realizzarono e diffusero un tipo devozionale di Crocifisso caratterizzato dalla drammaticità, con evidenti tutti i segni della passione e dal volto estremamente bello. È possibile pertanto ipotizzare un nucleo di artisti francescani, o strettamente legati all’Ordine che realizzassero questi Crocifissi nella prima metà del Cinquecento, su prototipi classicheggianti, come poi nel Seicento sorgerà una vera e propria scuola di scultori francescani specializzati in crocifissi lignei sul modello di Frate Umile da Petralia.

Padre Pietro Tognoletto, contemporaneo e biografo nonché confratello di Frate Umile, nel Paradiso Serafico del Regno di Sicilia Cronaca di Frati Minori Osservanti Riformati Palermo 1687, gliene attribuisce 33. Il numero riporta agli anni che aveva Cristo quando morì sulla croce³. Giotto nella Basilica superiore di Assisi aveva avvicinato la figura di Francesco a Gesù, era il tema dei frati minori che riconoscevano nel loro operare lo specchio delle azioni di Gesù e in San Francesco il nuovo Cristo. Lo stesso Tognoletto descrive Frate Umile come un perfetto religioso francescano che dedicava molto tempo alla preghiera, alla penitenza, al digiuno e la sua attività artistica lo coinvolgeva emotivamente e spiritualmente. Infatti, le sue sculture posseggono dei tratti stilistici inconfondibili. I suoi crocifissi presentano lividi e tumefazioni sparsi in tutto il corpo dovute alle percosse, i segni provocati dalla fune, una grande ferita al centro del petto, quella nel costato da cui sgorga copioso il sangue a rilievo. Dal punto di vista stilistico è inconfondibile l’uso della ceralacca per rendere realistiche le ferite e la forma del perizoma. Nato nel 1600 a Petralia Soprana, figlio di falegname apprende il mestiere del padre Giovanni Tommaso Pintorno. Trasferitosi giovanissimo a Palermo per perfezionare il mestiere, sente nascere la vocazione e con grande fervore si fa francescano nel 1623. Avendo sicuramente vissuto l’esperienza dei corpi martoriati dalla  peste,  estrinseca la sua spiritualità francescana attraverso il naturalismo classicheggiante dei crocifissi di Gagini l’espressionismo della cultura spagnola e l’ascetismo del suo cammino di Frate laico che, esalta quei valori di fede e tormento che creeranno intorno a lui un alone di  santità per il quale si diceva che durante il suo lavoro veniva aiutato dagli angeli (da qui i ritratti devozionali del frate, uno dei quali attribuito a Pietro Novelli).


Al di là dell’agiografia, è da sottolineare l’importanza dell’Artista, le cui opere e quelle della sua scuola si trovano non soltanto in Sicilia, ma in diverse regioni italiane e a Malta. A Palermo si trovano due crocifissi nelle chiese di Santa Chiara alle stigmate ed in quella di Sant’Antonino, dove il frate artista venne sepolto ai piedi della cappella, realizzata prima di morire a 38 anni. Tra le opere con la sua firma possiamo ricordare il Crocifisso di Caltagirone davanti ad una ricca parete reliquiaria nella chiesa di San Bonaventura e l’Ecce Homo di Calvaruso legato ad un aneddoto, quello della testa ancora abbozzata il giorno prima della processione e del miracoloso completamento. I Frati Francescani del terz’ordine regolare del Santuario di Calvaruso pur affermando che è difficile ricostruire il suo iter artistico puntualizzano i suoi spostamenti dai dati possibili, segnalano come ultima opera il Crocifisso di Cerami firmato e datato 1638, e che negli ultimi anni della sua vita per motivi di salute, tra meditazioni e penitenze Umile non si sposterà dalla sua bottega nel convento di Palermo.

Va tenuto in considerazione che il Pintormo ebbe diversi allievi la maggior parte dei quali frati Francescani, possiamo dire una scuola, che ne appresero l’arte e ne imitarono lo stile. Forse quasi parallelamente si potrebbe parlare anche di frate Innocenzo del quale non si conosce il nome di famiglia, anche questo frate Madonita proviene da Petralia Soprana come frate Umile. Risulta comunque difficile stabilire quante (e quali) siano in realtà le opere di Umile: infatti, gli studiosi contrastano spesso nelle attribuzioni, poiché pochi sono i lavori da lui firmati e forti appaiono le somiglianze tra il suo stile e quello del suo più importante allievo, Innocenzo da Petralia. L’elenco delle sue opere è sempre provvisorio, dato che di frequente nuove ricerche gliene sottraggono o gliene assegnano qualcuna.

Il Crocifisso di Sant’Anna datato 1638** rientra pienamente nell’area stilistica, culturale e religiosa della scuola Francescana di scultura che ha diffuso l’immagine del dolore di un corpo martoriato che attraverso la bellezza di un volto sereno, reclinato sulla spalla destra, guida i fedeli a meditare sul mistero della salvezza.

NOTE

* prima raffigurazione nel 432 nella Porta della Basilica di S. Sabina sull’Aventino a Roma

1 - Sculture e intagli dal XV al XIX secolo nelle chiese francescane delle Madonie - Salvatore Anselmo

2 - Crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso

3 - Riccardo Martelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2021)

* * E.Frasca-S.Sinardo-Società,Cultura e Territorio - Bonanno Editore

La cappella del crocifisso e l’apparato decorativo nella chiesa dei Santi Anna e Calogero del convento dei frati minori osservanti riformati a Modica

Prof.ssa Maria Terranova

Il convento dei frati minori osservanti riformati fu fondato a Modica nel 1639, seguendo le indicazioni generali fornite dall’ordine. Queste prevedevano che ogni convento dovesse sorgere “collaterale alle mura delle case della città”, e dovesse essere “ritirato ed isolato dalle vie pubbliche”. L’edificio risultava abbastanza vicino al centro abitato ed in posizione di rilievo, poco distante dal quartiere Cartellone e nei pressi di numerose sorgive, necessarie alla vita comunitaria dei frati. Contiguo, sorgeva un orto, ricchissimo di piante fruttifere, pergolati di uva e agrumi. Nel 1653 il Carrafa lo definì “superbo e magnifico”. Progettista fu probabilmente, il francescano palermitano, frate Marcello, residente nello stesso convento e autore anche del progetto seicentesco della chiesa di S. Giorgio di Modica.   Il convento subì dei danni a causa del terremoto del 1693 e fu poi ristrutturato a partire dal 1879, assumendo l’aspetto attuale, con l’intervento dell’ingegnere Salvatore Toscano. Nel 1891, alle spalle del complesso fu realizzata l’attuale Via Liceo Convitto; un ponticello collegò le due parti dell’orto, separate dalla strada di nuova realizzazione. Buono risulta lo stato di conservazione del convento, restaurato tra il 1998 e il 1999 grazie alla legge 433.

Riguardo alla chiesa una prima notizia ci viene fornita dal prospetto, che presenta sopra il portale di ingresso, un cartiglio, con la data 1686 e la titolazione a S. Anna. È probabile che l’edificio risalga proprio a quell’epoca nel suo impianto generale, mentre l’interno nei suoi altari ed apparati decorativi è stato arricchito, dopo il terremoto del 1693, nel corso del Settecento. Ha una pianta ad aula, con ampio endonartece, sei cappelle laterali ed un presbiterio di forma quadrangolare di notevoli dimensioni. Nella parete absidale una tela del 1699, firmata da Vincenzo Tucciarelli, ci propone il tema della Sacra Famiglia con i santi Anna e Gioacchino.

Protagonista della parte absidale è però il grande altare, alto tre metri e mezzo, in cattivo stato di conservazione, di cui non conosciamo né l’autore, né la datazione. Sappiamo però che in tutta la Sicilia si realizzarono, nelle chiese francescane, altari di questo tipo, tra il Seicento e l’Ottocento. Questo altare in particolare costituisce un esempio di notevole interesse per la fattura e i materiali utilizzati: legno, tessere vitree colorate e a specchio. Potrebbe riferirsi alla metà del XVIII secolo o agli inizi del XIX ed è una straordinaria macchina scenica tipica dell’arte barocca e tardobarocca, risultato della perfetta integrazione tra architettura, microarchitettura, scultura ed effetti pittorici. Ha un basamento su cui poggia un corpo a forme di torre al centro e quattro gradoni ai lati che vanno a restringersi, terminanti con statue di santi francescani inginocchiati, realizzati in cartapesta. Il basamento è movimentato da tre profondi arconi e da paraste trapezoidali che accentuano l’alternarsi di vuoti e pieni. Il corpo centrale presenta sorprendenti analogie con le facciate-torre tardobarocche, molto diffuse nel Val di Noto. Ha un profilo fortemente aggettante, tre ordini decrescenti, arricchiti da colonnine, intarsi policromi e volute laterali.

In alto è completato da un cupolino a spicchi e un lanternino. Il legame architettura- ebanisteria si spiega facilmente: non esisteva nel Settecento la specializzazione in un preciso settore ed era frequente che “magistri intagliatores” del legno fossero anche in grado di utilizzare i materiali lapidei per poi trasformarsi in architetti. Questo accadde a Gagliardi, protagonista della ricostruzione del Val di Noto. Inoltre vi era una ricca circolazione di incisioni e di testi a stampa a cui attingevano indifferentemente architetti ed ebanisti intagliatori e molto spesso gli architetti realizzavano dei modelli in legno, in scala minore per proporre al committente il progetto da realizzare.

Nella parete sinistra del presbiterio, in posizione di grande rilievo visivo, è collocata una tomba  dedicata al Barone Filippo De Leva, appartenente ad un antico casato nobiliare, la cui famiglia risiedeva nei pressi della chiesa. L’iscrizione nella lapide tratteggia l’immagine di un uomo morto in giovane età, zelante, operoso e generoso e riporta l’anno della probabile realizzazione del monumento funebre, il 1813. La tomba a parete, realizzata con marmi policromi, finemente intarsiati, è composta da un basamento con la lapide ed una modanatura aggettante su cui poggia il sarcofago. Questo presenta l’elegante stemma nobiliare dei De Leva e i caratteristici simboli dell’ineluttabilità della morte: Il teschio e la clessidra inclinata. In alto il ritratto del giovane barone con un’acconciatura e vesti eleganti è inscritto in un ovale e racchiuso in una piramide. La fattura del monumento risulta pregevole e l’insieme rivela il gusto neoclassico, in quegli anni dominante in Italia ed in Europa e presente anche nella nostra area.

La Cappella del Crocifisso è collocata nella parte sinistra dell’aula, inserita in un arco a tutto sesto inquadrato da due lesene, accanto al presbiterio e costituisce un esempio di interessante fusione barocca delle arti quali architettura, scultura e stucco. Superiormente la parete presenta al centro la scultura del Crocifisso attorniata da una raggiera, cherubini e nuvole in stucco che creano un insieme ricco di cromie di particolare suggestione. In basso un altare di forma parallelepipeda è l’unico tra quelli collocati in corrispondenza delle quattro cappelle della chiesa, a conservare la decorazione a scagliola, tecnica raffinata nella sua fattura, che produce un effetto simile a quello dei marmi mischi, ma con dei costi decisamente inferiori. L’altare ha un’elegante decorazione fitomorfa e una ricca varietà di fiori dai delicati colori pastello. Al centro vi è un motivo a cuore con la sacra famiglia e  un frate francescano inginocchiato che rende loro omaggio. Attorno, due uccellini dalle ali spiegate e due scarabei potrebbero alludere, i primi alla creazione o all’anima redenta, i secondi alla resurrezione dalla corruttibilità della carne, proponendo così dei rimandi di significati con il Crocifisso e l’insieme della cappella.

Aggiunto successivamente sull’altare fisso, un altare in legno, rivestito di tessere di vetro policromo, ha tre aperture affiancate da coppie di paraste e un secondo ordine centrale, con una profonda nicchia ed una trabeazione. L’insieme riprende in scala minore, l’aspetto di una chiesa con facciata loggiata, del tutto diverso dall’aspetto dell’altare maggiore, ma simile nell’uso dei materiali.

Il Crocifisso, a cui la tradizione locale attribuisce una funzione taumaturgica, appartiene a pieno titolo all’età barocca, durante la quale la Controriforma imponeva alla scultura caratteri fortemente patetici. L’accentuazione delle ferite, del sangue e dell’espressione dolente del volto, fu imposta dal Concilio di Trento per coinvolgere emotivamente il fedele a partecipare al dolore del Cristo in croce.

Il Crocifisso è rimasto in un cattivo stato di conservazione a causa dell’incuria e dell’abbandono in cui nei decenni scorsi versava la chiesa. La chiesa ha subito dei danni a seguito del crollo di una porzione della volta, negli anni Cinquanta del Novecento, dovuta ad un cedimento strutturale dei muri perimetrali, fino al definitivo collasso dell’intera volta ed al conseguente danneggiamento degli arredi interni. Pertanto il Crocifisso ha subito un ulteriore degrado dei suoi componenti. A differenza dell’ex convento, restaurato tra il 1998 e il 1999, la chiesa è stata oggetto di un restauro parziale a metà degli anni Novanta con la realizzazione di una copertura lignea, l’inserimento di materiali di rinforzo nella struttura muraria e di un ponteggio metallico che sostiene l’arco trionfale. Non essendo ancora possibile l’utilizzo della chiesa, è stato necessario trasportare il Crocifisso negli ambienti attigui dell’Ente Liceo Convitto, dove si è proceduto al restauro.

Il corpo dolente del Cristo pende dalla croce, a cui è fissato da grandi chiodi conficcati nei palmi delle mani e con un unico chiodo sui piedi sovrapposti, il che determina il sollevamento della gamba destra sulla sinistra. Il perizoma avvolge il bacino e forma un drappo candido che accentua la magrezza e il sangue delle ferite che sgorga copioso in tutto il corpo. Il capo, inclinato sulla destra, ha gli occhi socchiusi, la bocca semiaperta da cui si intravedono i denti, i capelli poggiano sul collo e si diramano sulle spalle. La fronte è attraversata da una ferita orizzontale, causata dalla corona di spine che si conficca anche nella palpebra dell’occhio sinistro. La barba è divisa a ciocche ordinate e separata in corrispondenza del mento, con riccioli simili quasi a volute e simmetricamente disposti. Essa conferisce al volto una bellezza austera, accentuata dalla compostezza dell’aspetto dormiente, che nella sua serenità sembra quasi allontanarsi dalla sofferenza fisica, per presagire la gloria ultraterrena. Il busto è scarnificato dal costato sporgente e dalla linea alba che lo attraversa verticalmente. Sul lato destro vi è la profondissima ferita causata dalla lancia del soldato romano, ben visibile da un punto di vista ribassato. Le ginocchia sono annerite e nel corpo martoriato, sembra condensarsi la sofferenza della flagellazione e della crocifissione del Cristo.

Il nuovo spazio del corpo

Giuseppe Anthony Di Martino

L’opera d’arte è figlia del suo tempo, e mai verità è stata così assoluta nella storia delle rappresentazioni antiche e moderne. Pensare ad un manufatto che si impone per stili, codici e memorie diviene meccanismo di sublimazione di un sentire che trascende la cultura della pietas, raggiungendo il concetto di uno stato in un luogo specifico. Tornare a ragionare nell’oggi sul Crocifisso di Sant’Anna, conservato negli spazi dell’Ente Liceo Convitto a Modica, rappresenta una rinascenza dell’opera stessa. Si apre una riflessione attorno al tema del corpo che patisce in croce, il quale chiarifica la necessità di tornare a quella che potremmo definire un’universalità tematica che da secoli abbraccia la storia di ogni uomo. Il recupero dell’opera, il suo restauro dolce e la riscoperta di un naturalismo velato dal carattere divino, traslano il punto di vista dal Dio all’Io.

Questa tipologia di rappresentazione vive da sempre un rapporto simbiotico con la preghiera; l’operato è intimo, sussurrato, compassionevole, ed è da questo che assurge un profondo radicamento alla fede, alla sacralità dello spazio abitato da quello stesso corpo che nell’arte del Novecento abita lo spazio del teatro.

L’opera che attraverso questo progetto viene analizzata mi conduce al rapporto che intercorre tra la morte umana, in quanto evento naturale, e il rito del pianto funebre teso a conferirle un senso compiutamente culturale. Attingendo agli studi antropologici e storico - religiosi di Ernesto De Martino, il concetto di dolore e di morte tendente a nuova vita parte proprio dalla figura di Gesù.

Lo scontro aspro con l’istituzione religiosa comporterà solo in un secondo momento il tentativo di rielaborare in chiave cristiana il pianto rituale, tipico delle antiche civiltà meridionaliste.

In quest’ottica si inserisce l’immagine della Madonna in pianto, della Mater dolorosa posta al cospetto della morte del figlio. Quella stessa morte incontrata, stando alle parole di Carlo Cesare Malvasia, da un gruppo di “Marie sterminatamente piangenti” in riferimento al Compianto di Niccolò dell’Arca, una delle opere più rappresentative del Rinascimento italiano. Alla visione dell’opera bolognese, Gabriele D’Annunzio ci induce ad attraversare lo spazio della morte del corpo mediante l’immagine dell’urlo “impietrato”, un urlo lacerante, quello che simula il clamore delle partorienti.

Ci apprestiamo ad entrare all’interno di uno spazio atemporale, che in questo nuovo allestimento si conferma a servizio dell’opera e contestualmente intorno all’opera. Trovo necessario far convergere le riflessioni sulla risemantizzazione di un ambiente che rende il crocifisso come sospeso tra ciò che ha concettualmente preceduto l’azione sul corpo ed i conseguenti interrogativi in merito a ciò che avverrà dopo la sua deposizione. La crocifissione come perno della narrazione è factotum di un’esperienza contemplativa. Il fruitore è invitato a prendere parte della scena come su di un palcoscenico e ad esperire la sacralità per mezzo di un pieno coinvolgimento emotivo.

L’opera d’arte esce dalla sua cornice, propone un approccio estetico non tradizionale nella forma e nell’indeterminazione delle poetiche contemporanee, le quali mettono in discussione la tradizione iconografica oggi apparentemente desueta. Il Cristo ritorna nel presente come corpo vivo, questo deposto su un basamento di grandi dimensioni con le sembianze di un catafalco che altro non fa che avvicinarci all’esperienza terrena della centralità del corpo. La luce raggiunge le carni come proveniente da una fonte morbida e misteriosa, enfatizza i dettagli del dolore, è emblema di un’assenza che diviene presenza, di un qualcosa che si verifica, che accade e restituisce la possibilità di una vita nuova. Il mistero della luce è l’annuncio di un’eternità a noi sconosciuta.

L’inaugurazione

05.04.2023

Grazie Laura

Parlano di noi

Direttivo Teresa Floridia, Concetta Rizza, Angelo Covato, Emanuele Guerrieri, Alessandro Romano

Direzione artistica e coordinamento generale Giuseppe Anthony Di Martino

Restauro Sebastiano Patanè, Gaetana Ascenzo

Testi Eugenia Calvaruso, Paolo Nifosì, Maria Terranova

Traduzioni Lucia Cartia e Duccio Gennaro

Coordinamento tecnico Mariangela Rizza

Progetto grafico Mariangela Giunta

Comunicazione Noemi Salerno

Fotografie Salvatore Brancati, Giuseppe Anthony Di Martino, Paolo Portogallo

Allestimento Sampa Più

Illuminotecnica 3S Elettronica

Mostra promossa dall’Ente Autonomo Liceo Convitto con il patrocinio del Comune di Modica, in collaborazione con Regione Siciliana e il sostegno di Ineer Wheel Club di Ragusa Contea di Modica, ARS, Gruppo Epass, BaPR, Bruno Euronics, Ramaddini.

Ringraziamenti

La nostra gratitudine va a quanti hanno contribuito alla realizzazione della mostra, in modo particolare: Pietro Scivoletto.

La Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Ragusa.

Salvatore Brancati per concessione delle fotografie tratte dal libro “I crocifissi di Frate Umile e Frate Innocenzo da Petralia” (Martorina Editore, 2019).

La collaborazione dei sigg. Giancarlo Blandino e Orazio Spadaro per il supporto tecnico.

IPS “Principi Grimaldi” di Modica per io servizi di sala e accoglienza.